Parola chiave ‣ sottomissione
Riferimenti 7

Questo è ciò che Ulisse disse in pubblico, secondo Omero.

Se avesse detto soltanto: “Non è bene avere più maestri”, sarebbe bastato. Ma invece di dedurre che il dominio di più non può essere buono, poiché il potere di uno solo, appena prende questo titolo di padrone, è duro e irragionevole, aggiunge al contrario: "Non abbiamo che un solo padrone" ...'

Dobbiamo forse scusare Ulisse per aver usato questo linguaggio, che poi usò per placare la rivolta dell'esercito: credo che abbia adattato il suo discorso più alle circostanze che alla verità.

Ma riflettendoci, è una disgrazia estrema essere soggetti a un maestro della cui bontà non si può mai essere certi e che ha sempre il potere di essere malvagio quando lo desidera. Quanto a obbedire a diversi padroni, ciò spesso significa essere estremamente infelici.

Non voglio discutere qui la questione così spesso agitata, cioè "se altri tipi di repubbliche siano migliori della monarchia". Se dovessi discuterne, prima di considerare quale posto debba occupare la monarchia tra i vari modi di governo della cosa pubblica, chiederei se dovremmo concedergliene qualcuno, perché è difficile credere che non ci sia nulla di pubblico in questo governo dove tutto è di proprietà di una persona. Ma riserviamo per un'altra volta questa questione, che meriterebbe una trattazione a parte, e che provocherebbe tutte le dispute politiche.

Per ora vorrei solo capire come sia possibile che tanti uomini, tanti paesi, tante città, tante nazioni sostengano talvolta un solo tiranno che non ha altro potere se non quello che gli danno, che ha il potere di nuocere loro solo nella misura in cui sono disposti a sopportarlo, e chi non potrebbe far loro del male se non preferissero subire tutto da lui piuttosto che contraddirlo. Una cosa davvero sorprendente - e tuttavia così comune che bisogna piuttosto gemere che stupirsi - vedere un milione di uomini miseramente ridotti in schiavitù, con la testa sotto il giogo, non perché vi siano costretti da forza maggiore, ma perché sono affascinati e , per così dire, stregati dal solo nome di uno, che non dovrebbero né temere, poiché è solo, né amare, poiché è disumano e crudele con tutti loro.

Eppure tale è la debolezza degli uomini: costretti all’obbedienza, obbligati a procrastinare, non possono essere sempre i più forti. Se dunque una nazione, costretta dalla forza delle armi, è soggetta al potere di un solo uomo – come la città di Atene lo era al dominio di trenta tiranni – non dovremmo stupirci che serva, ma ben deplorarla. O meglio, non stupirsi né lamentarsi, ma sopportare con pazienza la sventura e riservarsi un futuro migliore.

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